Sono stati giorni nervosi sul mercato valutario, che ha tirato un po’ il fiato nell’ultima seduta della settimana. I trader sono impegnati a metabolizzare sia i dati macro che le novità sul fronte dei dazi.
L’ultimo rapporto PCE è stato in linea con le aspettative. L’indice dei prezzi del consumo personale è aumentato dello 0,3% mensile, come a dicembre, mentre l’indice Core PCE, che esclude i prezzi volatili alimentari e energetici, è aumentato dello 0,3%, leggermente al di sopra dello 0,2% registrato nel mese precedente.
Su base annuale, l’inflazione PCE principale è aumentata al 2,5% dal 2,6%, segnando il suo primo rallentamento in quattro mesi. Allo stesso modo, l’inflazione del PCE core è scesa al 2,6%, il suo livello più basso in sette mesi, da un rivisto verso l’alto il 2,9%.
Questo report offre un po’ di sollievo sull’aumento delle pressioni inflazionistiche, rafforzando la convinzione che quest’anno le ci saranno altri due tagli di un quarto di punto ai tassi di interesse Fed. Tuttavia preoccupa il fatto che i tagli aggressivi della spesa pubblica potrebbero danneggiare la crescita.
Intanto sul fronte commerciale le tensioni si intensificano, perché Trump oltre a imporre tariffe sulle importazioni dal Messico e dal Canada, ha aggiunto un ulteriore dazio del 10% sulle importazioni cinesi, in vigore la prossima settimana.
Mentre Stati Uniti e Regno Unito potrebbero raggiungere un accordo commerciale senza dazi, l’unione Europea resta invece nel mirino del presidente USA per tariffe del 25% a partire da aprile. Questo clima innervosisce il mercato e fa temere ripercussioni sulla crescita economica globale.
Il rimane stabile attorno 107, sui massimi da metà febbraio. Complessivamente però il biglietto verde rimane in una tendenza a breve termine ribassista, cominciata a metà gennaio (quando si trovata in area 110).
Il cambio viaggia invece su quota 104, dopo aver fallito il test per portarsi oltre la media mobile semplice di 100 giorni (SMA), che avrebbe mandato un messaggio rialzista al mercato.