La battaglia a colpi di dazi si mescola a quella a colpi di ultimatum. Tra USA e Cina la tensione commerciale resta altissima, mentre lo Yuan perde di nuovo quota rispetto al biglietto verde statunitense (), scivolando sui minimi di 18 anni.
Trump ha minacciato ulteriori dazi del 50% alla Cina (oltre a quelli già esistenti del 54%) se Pechino non ritirerà le imposte sui prodotti statunitensi. La risposta del Ministro del Commercio cinese è stata: “le misure annunciate sono completamente legittime“. Da Pechino continuano inoltre a giungere accuse agli Stati Uniti di esercitare “pressioni” e “ricatti“. Inoltre il ministero degli Esteri cinese ha definito “ignoranti e maleducate” le dichiarazioni del vicepresidente Usa, JD Vance, a proposito degli Stati Uniti che prenderebbero denaro in prestito da contadini cinesi.
In questo clima è infuocato, Pechino è intervenuta per stabilizzare i mercati dei capitali. Diverse aziende statali hanno annunciato riacquisti di azioni e fatto promesse di investimento, mentre la PBoC ha espresso il suo sostegno alla decisione del fondo sovrano Central Huijin di aumentare gli acquisti di azioni, una mossa volta a rafforzare la fiducia del mercato.
Sul mercato valutario intanto lo yuan continua a perdere quota. Il cambio in area a 7.39, come non accadeva dal 2007, anche perché la Banca Popolare Cinese ha fissando il tasso di riferimento giornaliero al di sopra del livello critico di 7,20 per la prima volta dal 2023.
Svalutando la moneta, Pechino potrebbe cercare di aumentare l’attrattività delle esportazioni, un importante motore di crescita che al momento è sotto pressione a causa delle tensioni commerciali. Ma è una intenzione tutta da verificare, anche perché un tasso di cambio artificialmente alto provocherà un calo dei volumi delle esportazioni e danneggerà ulteriormente un’economia già indebolita.
