Dopo essere arrivato sui massimi di un mese, il dollaro fa leggermente marcia indietro prima del weekend, nonostante alcuni dati macro siano stati più forti del previsto (cosa che alleggerisce le pressioni sulla FED affinché tagli ancora i tassi).
Venerdì è stato pubblicato il report sull’indice dei prezzi delle spese per consumi personali, PCE, che è aumentato dello 0,6%, di poco superiore al +0,5% di luglio e stimato dal consensus. Il dato PCE core, che è la misura dell’inflazione preferita dalla FED, è salito dello 0,2% su base mensile e del 2,9% su base annua, così come si aspettavano i mercati, evidenziando un’inflazione persistente al di sopra dell’obiettivo.
Tuttavia il reddito personale è aumentato 0,4%, oltre lo 0,3% atteso dagli analisti.
Una spesa solida sostiene la crescita economica e ammorbidisce la convinzione di altri tagli da parte della FED, vista anche la cautela mostrata da Powell nell’impegnarsi in un ulteriore allentamento. In effetti, permangono i rischi derivanti dal raffreddamento del mercato del lavoro e le pressioni inflazionistiche potrebbero intensificarsi man mano che i dazi di Trump filtrano attraverso le catene di approvvigionamento.
A tal proposito, i mercati sono preoccupati dall’ultimo annuncio del presidente USA riguardo tariffe al 100% sui prodotti farmaceutici di marca (ma anche ulteriori dazi su autocarri pesanti, armadi da cucina e altri mobili).
Le preoccupazioni riguardo questi nuovi dazi e l’avvicinarsi della scadenza di fine mese per adottare un bilancio ed evitare così uno “shutdown” degli Stati Uniti, hanno appesantito il biglietto verde americano. Il , dopo essere giunto sui massimi mensili a 98,4, ha fatto marcia indietro. L’Index continua a oscillare attorno alla media mobile a 50 periodi, che ha già tagliato più volte negli ultimi tre mesi.

















