Il prezzo del petrolio chiude in calo per la terza settimana consecutiva, soprattutto a causa dei piani del presidente Usa Trump di incrementare sensibilmente l’estrazione americana di greggio (come aveva promesso nel discorso di insediamento).
Trump intende smantellare le politiche green dell’amministrazione Biden, annullando lo stop ai permessi sulle nuove esportazioni di gas naturale liquefatto (GNL) e revocando le restrizioni sulle trivellazioni in Alaska, incentivando nuove esplorazioni e gasdotti.
Questo slancio fossile degli USA giunge mentre ci sono già forti preoccupazioni per un surplus di offerta. Ma del resto l’intento di Trump è proprio quello di abbassare i prezzi del greggio.
Ad alimentare i timori sull’eccesso di fornitura ci sono i dati sulle nelle scorte di greggio statunitense, che segnalano un aumento più nitido del previsto: 8,664 milioni di barili per la settimana che è terminata il 31 gennaio 2025, il più grande aumento di quasi un anno. Il mercato si aspettava un aumento di appena 2,6 milioni di barili.
Un minore impatto sul calo di e (che comunque c’è stato) l’hanno avuto anche le tensioni commerciali USA-Cina, dopo che Pechino ha imposto tariffe su petrolio statunitense, GNL e carbone per rappresaglia contro le recenti misure tariffarie di Trump.
Tutto questo spiega perché il prezzo del petrolio sta continuando progressivamente a scendere. Il scambia a circa $ 74 al barile, mentre il è scivolato poco sopra la soglia dei 70 dollari. Dal massimo di metà gennaio i due benchmark del mercato hanno perso quasi il 10%.
Ad impedire ulteriori ribassi sono state le sanzioni che gli Stati Uniti hanno aumentato contro l’Iran a inizio settimana. Inoltre Saudi Aramco ha aumentato bruscamente i prezzi del greggio di marzo, guidati dalla crescente domanda da Cina e India, e la Russia ha interrotto la propria offerta.

















