Home
Yuan cinese CNH CNY

Cina, inflazione in netto calo ma lo Yuan tiene ancora contro il dollaro. Usd-Cnh vicino quota 6,9000

Scritto da -

Negli ultimi giorni è emersa però una posizione nuova da parte di Pechino, che potrebbe non impegnarsi più strenuamente nella difesa del cambio

Arrivano dati pessimi dal punto di vista macro per la Cina. Pechino ha comunicato che durante febbraio i prezzi sono scesi dello 0,2%, contro una previsione che invece indicava +0,6%. Si tratta del primo stop dopo 4 mesi di crescita.
L’inflazione arriva appena a 0,8% annuo in febbraio, molto lontana dal target della People’s Bank of China fissato al 3% per il 2017. Il valore reso noto oggi è quello più basso in due anni (bisogna tornare a febbraio 2015 per vedere un dato simile).

Ieri erano stati resi noti altri dati negativi. La bilancia commerciale segnala un -9,15B, contro un dato atteso che era di ben altro genere: +25,75B. Hanno pesato gli enormi aumenti delle importazioni, schizzate a 38,1% (il massimo dal 2012) e il contemporaneo crollo delle esportazioni, finite in territorio negativo (-1,3%). Tuttavia, molti analisti ritengono che questo exploit negativo sia solo occasionale e temporaneo.

Questi dati cozzano con quelli invece molto positivi resi noti qualche giorno fa. L’indice Pmi Markit/Caixin era infatti salito a 51,7 punti in febbraio, meglio del previsto e oltre il dato precedente (51,0 punti di gennaio). Segnalava una crescita per l’ottavo mese consecutivo.

Sul mercato valutario intanto il cross USDCNH perde terreno questa mattina, riavvicinandosi alla soglia di 6,900 (attualmente è poco sopra). Negli ultimi giorni il biglietto verde ha guadagnato nuovamente terreno, dopo che lo Yuan si era rialzato ad inizio nuovo anno (in precedenza il biglietto verde era arrivato a guadagnare circa il 10% contro il remibi).
Vediamo l’evoluzione di questa coppia in uno screenshot tratto da .

usdcnh-9-3-2017.jpg

Ricordiamo che la Banca popolare di Cina (PBOC) di recente ha spinto al rialzo i tassi pronti contro termine di dieci punti base, al 2,35%. Nessuno però ha interpretato questa mossa come il preludio ad una stretta monetaria (attualmente il tasso è a 4,35%, e l’ultimo ritocco fu sul finire del 2015), per la quale non sembrano esserci le condizioni.

Il vero problema per la PBOC è quello di tenere a freno la fuga di capitali e il crollo delle riserve, per contrastare la quale la Cina ha varato una serie di misure a partire dal novembre scorso, usando le proprie riserve valutarie che si sono assottigliate lo scorso anno di 320 miliardi di dollari.

Negli ultimi giorni è emersa però una posizione nuova da parte di Pechino, che potrebbe non impegnarsi più strenuamente nella difesa del cambio cinese (pratica che è costata mille miliardi di riserve valutarie, a causa di deflussi di capitali per complessivi 833 miliardi).
La Cina quindi potrebbe presto accettare l’idea di uno yuan più debole, anche se dovrebbe evitare mosse repentine per non incrinare i rapporti con l’amministrazione Trump, ed essere accusata di svalutare il cambio per fini competitivi (con il conseguente rischio di vedersi imposti dei pesantissimi dazi al 45%, come minacciato dagli USA).

Non è possibile commentare questo post.

IN EVIDENZA