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Petrolio rimbalza dopo l’accordo USA-Cina. Ma il mercato è preoccupato, BRENT al test di Fibo 38,2

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Scemato lo spavento per la tensione USA-Iran, gli investitori siano tornati a interrogarsi sul futuro (incerto) equilibrio tra domanda e offerta

Si risollevano le quotazioni del petrolio, dopo l’accordo Usa-Cina ufficializzato ieri. Il rimbalzo arriva dopo diverse sedute al ribasso che avevano spinto il prezzo sotto il livello che aveva prima dell’assassino del generale iraniano Qasem Soleimani da parte degli USA, che aveva scioccato i mercati.
Passata la paura, sembra che gli investitori siano tornati a interrogarsi sul futuro (incerto) equilibrio tra domanda e offerta.

Squilibrio domanda-offerta

Lo shale oil americano è tornato a preoccupare l’Opec, che a marzo si riunirà (anche se si parla di possibile rinvio) per rivedere l’accordo sui tagli produttivi.
Il cartello ha di recente alzato a 2,35 mbg la stima sulla crescita della produzione di greggio dei Paesi concorrenti nel 2020. Si tratta di volumi quasi doppi rispetto all’incremento atteso per la domanda.
I produttori Usa invece si sentono al sicuro da eventuali futuri ribassi delle quotazioni, grazie all’hedging. Lo scenario di base quindi continua ad essere caratterizzato da un eccesso di offerta.

Scorte in calo

Intanto l’EIA (Energy Information Administration) ha comunicato che negli USA alla fine della scorsa settimana le scorte di petrolio hanno fatto segnare un calo molto maggiore del previsto: 2,549 milioni di barili, a fronte di una previsione di 0,474 milioni.

Brent, ostacolo Fibo alla discesa

Come vediamo sulla , il prezzo del verso i 65 dollari ha trovato un ostacolo all’ulteriore discesa, poiché lì si trova il Fib 38.2 ed è anche zona di passaggio della media mobile 50 periodi.
In quest’area transita anche la trendline costruita dai minimi di ottobre.

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Anche il sta rimbalzando dopo le perdite dei giorni scorsi, salendo a 58,26 dollari al barile.

Rimane difficile prevedere cosa ci aspetta, perché due fattori saranno da tenere in considerazione.
Anzitutto il ruolo che reciterà l’OPEC nei prossimi mesi; in secondo luogo, l’eventuale insorgenza di nuove tensioni sul fronte geopolitico. Ogni escalation potrebbe ovviamente innescare un brusco aumento nei prezzi.

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