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Turchia, la CBRT resta immobile e l’inflazione si allontana dal target. La lira turca torna a indebolirsi

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Finora per sostenere la valuta, la banca centrale si è limitata all'utilizzo di strumenti "alternativi" come l'aumento del tasso di rifinanziamento

La settimana per la lira turca si è chiusa con dei dati negativi per quanto riguarda l’inflazione, tornata a salire più di quanto si attendevano gli analisti. Il dato primario è salito a quota 10,13% (le previsioni medie erano 9,74%), quasi un punto percentuale in più rispetto a gennaio (9,22%).
Il dato core (senza le componenti più volatili), è passato dai 7,74% del mese precedente agli attuali 8,56%.

Nei giorni scorsi il Turkish Statistical Institute aveva segnalato un incremento delle esportazioni, salite a febbraio fino a quota 11,30B (a gennaio erano state 10,53B), nonché il miglioramento della bilancia commerciale, che comunque rimane in forte deficit (-4,31B). Questo deficit peraltro è in aumento su base annua del 10,3%, segno che il rilancio delle esportazioni appare più che compensato dal boom delle importazioni.

Sul mercato valutario, la lira è andata in retromarcia sul dollaro. Il cross USDTRY è salito a 3,7463, in rialzo dello 0,80%, ma poi ha rapidamente stornato i guadagnati scendendo a 3,6983. Nel complesso sono un paio di settimane che la lira turca è in calo contro il biglietto verde, dopo un mesetto durante il quale aveva guadagnato circa il 3%.
Vediamo l’andamento del cross su questo screenshot tratto da .

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Il punto cruciale è capire le intenzioni della banca centrale turca (oltre che scrutare nel futuro politico del paese). La CBRT è lontanissima dal target del 5% di inflazione, ma sembra non metterci eccessivo impegno nel perseguirlo. L’ultima mossa sui tassi è avvenuta a novembre, quando il governatore Murat Cetinkaya ha alzato il costo del denaro fino all’8%.
Sul finire di gennaio i mercati si aspettavano un rialzo dei tassi, ma quando la CBRT ha deciso di lasciare tutto com’era, gli investitori hanno dato vita a una pioggia di vendite.

Il problema della Banca centrale è che dovrebbe andare contro le volontà del governo, che ha esplicitamente detto di volere tassi d’interesse relativamente bassi. Ma se non lo farà, la lira più debole spingerà ancora più in alto i prezzi delle materie prime e quindi l’inflazione.

Anche per questo finora si è limitata all’utilizzo di strumenti “alternativi”, come l’aumento del tasso di rifinanziamento overnight, in modo da tenere alle larga gli speculatori dalla lira, e costringere gli istituti nazionali a ricorrere ai prestiti di emergenza, per i quali è in vigore un tasso dell’11%. L’effetto finale è simile ad una stretta monetaria (tant’è che a febbraio la lira è cresciuta) ma formalmente non lo è. E soprattutto è una misura che non può essere portata avanti a lungo.

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